lunedì 14 dicembre 2009

Giornalismo e agricoltura: un'esperienza da un collega di Rovigo

Il binomio giornalismo/raccolta di pomodori, innescato dal buon Emilio Fede sul Tg4 (vedi precedente post con risposta giustamente irata di una freelance) continua a solleticare la fantasia dei colleghi precari. Questa volta ci scrive un collaboratore di Rovigo che, partendo dal suo vissuto personale, arriva a smentire Fede: caro Emilio, sbagli, la raccolta della frutta «frutta» ben di più della raccolta delle news...


Raffaele Bonanni si è improvvisamente accorto che non tutti i giornalisti fanno parte della "casta" che guadagna stipendi da sogno per scaldare una poltrona in redazione. Emilio Fede smentisce che un giornalista del Tg4 guadagni meno di un raccoglitore di pomodori.
Non ho mai avuto la fortuna di lavorare per il Tg4 e finora mi sono cimentato solo con la raccolta della frutta, per una paga, all'epoca, di 7.900 lire all'ora per otto ore al giorno. Anni dopo questa fortunata esperienza nel primario, ho iniziato a collaborare per un quotidiano locale (La Voce di Rovigo, facciamo i nomi), per la paga mirabolante di cinque euro a pezzo, tre euro se il pezzo era breve. Il primo stipendio, relativo a sette articoli, fu di 30 euro. Ricordo ancora il momento in cui mi recai in banca per incassare l'assegno, nel totale sollazzo della cassiera. Dopo qualche tempo mi fu fatto un contrattino da 120 euro al mese. Decisamente meno di quello che guadagnavo lavorando in frutteto. In realtà, questi soldi cominciarono a fluire nelle mie tasche solo dopo otto-nove mesi, quando mi ero già licenziato in modo assai polemico, lamentando il fatto che stavo lavorando gratis per arricchire il direttore e l'amministratore. Dopo questa appagante esperienza, in preda al masochismo continuo a scrivere per un mensile (La Città) che pagava 0,003 euro a battuta (!). In pratica tre euro per un pezzo di mille battute. Anche con questa prestigiosa collaborazione non mi riusciva di comprarmi la barchetta a Gallipoli, così prima mollai il mensile, poi trovai lavoro al Corriere del Veneto, dove lavoro ancora oggi tra mille mugugni. La paga è da sogno, rispetto ai 5 euro di una volta. Per un pezzo lungo arrivo a prendere perfino 25 euro lordi. Peccato che a) il computer, la connessione a internet, il telefono e l'automobile siano a mio carico; b) gli spazi striminziti del Corriere, specie la pagina di Rovigo, non consentano di scrivere abbastanza da poterci campare. L'Ordine dei giornalisti, poi, mi chiede 100 euro l'anno per la tessera, mentre l'Inpgi si prende per i contributi quasi due stipendi in una botta sola.
Per potermi permettere il lusso di fare il giornalista, lavoro da un'altra parte, dove tra l'altro comincio a rendermi conto di cos'è un posto di lavoro serio: a impegno fisso, ad esempio, mi viene corrisposto uno stipendio fisso, che stranamente mi consente di fare la spesa e pagare le bollette. Pensate che in questo regno del Bengodi, se faccio un viaggio in macchina per lavoro, mi viene rimborsato! E se mi faccio male, ho un'assicurazione che mi tutela. Da non credere.
Concludo con una cosa che avrei voluto mettere nell'attacco del pezzo. Visto che per molti è normale che un giornalista lavori nelle condizioni sopra descritte, ho pensato di proporre un giochetto da fare tutti assieme: provare a immaginare se l'Arma dei carabinieri lavorasse in questo modo. A voi il piacere di elaborare tutta la serie di gag e situazioni esilaranti con protagonisti carabinieri precari, part time, che devono pagarsi da soli il pieno della volante, che lavorano in più posti al giorno per sbarcare il lunario, ecc. ecc. Si potrebbe trarne una gradevole sit com da mandare in onda dopo il Tg4.

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